Dopo la rivoluzione di Pokemon Go, di cui abbiamo trattato alcuni potenziali aspetti negativi sull’incolumità e sulla sicurezza in questo precedente articolo, non ci siamo potuti esimere di portare a conoscenza dei più giovani di un gioco di ruolo in voga alla fine degli anni 90 (perlomeno in Italia) che aveva come analogia col più recente Pokemon Go, quella di mischiare un mondo virtuale con quello reale per missioni spesso sfociate in fatti di cronaca.
Considerando che ai tempi lo smartphone non esisteva ancora (ma nemmeno i telefonini a dirla tutta) il gioco non era governato dalla tecnologia ma da semplice carta e penna.
Parliamo di Killer.
Tecnicamente è un gioco di ruolo dal vivo, ma molto leggero: non c’è da interpretare a meno che non lo vogliate.
Diffuso inizialmente nei campus americani è arrivato fino a noi con diverse varianti e con diversi nomi.
Killer ha diverse varianti tutte ispirate in qualche modo al cinema americano e soprattutto al film La decima vittima (1965) di Elio Petri basato sul racconto La settima vittima di Robert Sheckley. Alcune regole del gioco restano però invariate. Ad un tempo prestabilito ogni giocatore ha un target (o più) ed è a sua volta il target di uno (o più) giocatori. Ai giocatori viene assegnato il target dai coordinatori, ma essi non conoscono l’identità della persona a cui essi sono stati assegnati come target. In giochi di grande entità, i giocatori potrebbero non conoscere l’identità di ogni altro giocatore a parte i loro target. Al raggiungimento dell’obiettivo se ne acquisisce uno nuovo (in genere l’obiettivo della nostra vittima) e così finché non scada il tempo o finché non resta un solo giocatore.
Steve Jackson ha scritto una formalizzazione delle regole e delle principali varianti, tradotta e pubblicata in italiano dalla Nexus Editrice come Killer – il gioco dell’assassinio.
Killer (anche conosciuto come, Streetwars, Sicario o Assassin) è un gioco di ruolo dal vivo comunemente praticato nei campus dei college e nelle comunità delle scuole superiori, soprattutto negli Stati Uniti. I partecipanti sono assassini e vittime allo stesso tempo, devono “uccidere” il loro bersaglio evitando di essere scoperti e di essere uccisi a loro volta. Il giocatore che riesce a sopravvivere a tutti gli altri o totalizza un punteggio più alto vince il gioco.
L’uccisione è ovviamente fittizia, si invia alla vittima una lettera con scritto “hai aperto un pacco bomba” o si lega un filo dalla maniglia della porta alla più vicina presa elettrica per simulare l’elettrificazione della porta. Oppure ci si colpisce con pistole ad acqua o palline di carta.
Killer è descritto come un gioco che invade la vita reale. Il gioco non è riservato ad alcune ore del giorno, ma è integrato nelle attività quotidiane dei giocatori. Un torneo può durare per giorni, settimane o mesi mentre il gioco è in sviluppo, tutti i giocatori sono l’obiettivo di qualcun altro e hanno i propri obiettivi. Il gioco è fatto in modo da indurre un’atmosfera di paranoia, in quanto il tentativo di assassinio potrebbe accadere in ogni momento, in qualsiasi luogo, in chiesa, al cinema, al ristorante con la propria ragazza. Sempre e comunque.
Proprio queste dinamiche psicologiche che portano a convivere quotidianamente con l’alter ego nel gioco, hanno determinato in alcuni casi veri e propri incidenti persino mortali, in cui ad esempio l’utente vittima di un attentatore nel gioco, ha reagito come se si trovasse di fronte ad un vero pericolo, lanciandosi da terrazzi, correndo e attraversando strade senza prestare attenzione o comportamenti di difesa lesivi nei confronti del compagno di gioco che in molti casi hanno creato veri e propri danni fisici permanenti a se stessi e agli altri fino ad alcuni decessi.
Vien da chiedersi appunto dopo quanto sperimentato con questi giochi di ruolo, se abbia ancora senso iniziare ad amalgamare virtuale e realtà considerando le conseguenze che la realtà irrimediabilmente comporta anche a fronte di comportamenti pacati come la semplice distrazione.